Palazzo Incisa
Edificio residenziale, Parma, 1956
Un bel giorno fui incaricato del progetto della Direzione della INCISA condotte e strade, di proprietà di in amico che poneva una sola condizione per l’attribuzione della commessa: ch’io proferissi, in segreto, il nome del più grande architetto italiano (all’uopo consigliai lo studio di Franco Albini) per affidare a lui la progettazione della sua propria casa da ubicarsi, con gli uffici, sullo stesso lato di un viale aristocratico di un insediamento sorto sul Campo di Marte. Ubicazioni atte a consentire, ogni volta, una breve passeggiata fra la casa (di Albini, Helg) e gli uffici (il mio incarico), entrambi disposti sullo stesso marciapiede. E’ così che, entrambi, (Abini ed io), fummo incaricati di progettazioni che, di per sé, esprimono i temi e i problemi degli anni sessanta del secolo scorso, interpretando, ognun per sé, quel revisionismo “milanese-lombardo” di cui ancor oggi si parla.
A fine lavori Albini si reca a Parma per una visita a casa Corini -il committente- già finita, e ne rileva l’affettuosa lettura di quella matrice culturale che contraddistingue la sua scuola da sempre, pur puntualizzando, nell’edificio, la propensione all’enfatizzazione del partito decorativo in cotto proposto dalla Helg. Dopo la visita conduco il Maestro all’Incisa e mi soffermo con lui, sulla veduta, in diagonale, dello svolgersi dell’assieme parietale coronato da un cornicione angolare. Albini lo osserva e mi dice, (ed io qui lo dico e l’enfatizzo): “è bellissimo, Lello, è bellissimo!”. Viganò, da me condotto all’Incisa, quasi per caso, osserva attentamente il medesimo voltatesta all’angolo dell’edificio e sbotta: “io l’avrei fatto in un altro modo”. Tafuri, dopo la visita alla casa Corini, ove aveva accompagnato una fotografa, osservò il medesimo voltatesta e tacque. Lì, fermo, davanti alla facciata, alla modanatura, al disegno della sagoma, e non disse assolutamente niente. Guido Canella, che ha visto la costruzione dell’Incisa solo da lontano, aveva anzitempo apprestato con i suoi scritti corsari -redatti a chiarimento della battaglia delle idee generata dai temi delle tradizioni nazionali in architettura- l’orientamento sulle questioni di un revisionismo di cui ho sempre tenuto conto e che, a mio avviso, ho espresso, anche con le membrature murate dell’Incisa perseguendo i testi di un Canella ancora studente che scriveva per Casabella “L’epopea borghese della scuola di Amsterdam”.
Contributo, questo, che indirizza, il dibattito degli anni Cinquanta sull’identità del Moderno, a partire della disputa controversa in corso negli anni Sessanta.